di Mauro Colombo

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Le manifestazioni di cordoglio che hanno accompagnato la morte di Angelo Porta certo non alleviano il dolore per la sua scomparsa, ma forse mitigano parzialmente il rammarico per un congedo inevitabilmente mortificato dalle attuali restrizioni di assembramento. La sua persona avrebbe meritato ben altro saluto di folla, anche se credo che gli attestati pubblici e privati abbiano reso il giusto omaggio alla sua figura. In questi giorni si è scritto e detto giustamente del profondo amore per la sua famiglia, della sua qualificata e competente attività professionale, della serietà e dell’autorevolezza con la quale ha ricoperto numerosi incarichi in vari settori, dell’operosità con cui ha caratterizzato la sua fede cristiana, della generosità con la quale si è speso in molteplici forme per la sua comunità. Soprattutto in questo ultimo ambito, penso che quanto da lui ideato, creato e sviluppato si possa sintetizzare con due citazioni: la prima di Diderot, secondo cui «non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene»; la seconda di Gino Bartali, per il quale «il bene si fa, ma non si dice». Intraprendenza e discrezione, questo era il suo stile.

Ma di lui vorrei aggiungere un’immagine privata e personale, legata alla nostra condizione di vicini di casa per ben 42 anni. Una vicinanza che non si è tramutata in condivisione di vita (tanto per fare un esempio, non abbiamo mai festeggiato insieme occasioni o ricorrenze particolari), ma che piuttosto si è tradotta in un’assiduità di rapporti non solo assolutamente corretti, ma sinceramente cordiali. Quel genere di rapporti che faceva pensare che per qualsiasi necessità, ordinaria o straordinaria, si poteva fare affidamento sulla sua disponibilità e sul suo aiuto, anche senza chiederli. E l’episodio che sto per raccontare è emblematico.

Mio padre morì la sera del 14 gennaio 1987, nel pieno di una furiosa nevicata che aveva investito Erba fin dal giorno prima. Dopo una nottata trascorsa come è facile immaginare, la mattina aprii la finestra della mia camera e vidi il signor “Angiolino”, pala alla mano, intento a sgomberare il nostro piazzale dalla neve con l’aiuto dei figli.

«Il tempo di prepararmi e arrivo subito…», gli dissi.

«Non preoccuparti, ci mancherebbe… Qui ci pensiamo noi!», fu la risposta immediata.

È un piccolo ricordo, un episodio minimo, se vogliamo una storia banale. Ma, come detto, il bene non ha bisogno di molte parole.

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