Sarà presentato la sera del 17 novembre,  alla trattoria “San Biagio” a Parzano

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Il decimo pubblicato dello scrittore giornalista erbese con l’editore Mursia. Emilio Magni continua, forse conclude, quel suo impegno preso anni addietro di riproporre tradizioni, cultura, valori realtà del mondo contadino e popolare. Cominciò con il dialetto dei mestieri perduti, con una lunga sequenza di nodi di dire della parlata popolare, in gran parte scomparsi, qualcuno ancora nel lessico del bar e del mercato. Poi si è dedicato a raccontare storie del passato e ha scritto due romanzi raccontando contadini e popolani. Infine si è innamorato dei mangiari della tradizione e del gusto lombardo, la “cassoeula”, la “busecca”, “el risott giald”, tipico di Milano e di una lunga sequenza di mangiari ormai quasi dimenticati come la “petamura” tipica zuppa di Lezzeno. Questa appassionata investigazione Magni ha sempre, come è sua indole (dovuta certamente al suo passato di cronista), infilato le realtà annoverate dentro storie di vita vissuta, facendo quindi rivivere gli elementi riesumati e descritti. “Pulenta e poeuc” è il libro di intense trasgressioni a tavola, di violenti bagordi consumati in alcune osterie brianzole dove la “pacciata” con il mento dei commensali affogato nel grasso condimento degli sughi. Intanto l’atmosfera del peccato si allargava nel racconto di storie piccanti e in cui gli argomenti del sesso andavano e venivano.

Magni racconta anche di pentimenti sofferti e clamorosi come quello vissuto per la famosa “pulenta e osei” che fu per qualche decennio dell’ultimo dopoguerra un classico della “pacciata”. Ad un certo punto però l’autore comprese che era davvero un delitto sacrificare nella grassa padella uccellini così valorosi: piccoli essere coperti di piume capaci di trasvolare mari e orientarsi nelle tempeste per tornare al loro nido.

Le osterie raccontate sono quelle del “Falcone” di Alserio alla quale sono dedicate la maggior parte delle storie che raccontano dei piccoli e grandi personaggi che si sono “attavolati” per degustare i saporiti mangiari della cuoca , la “sciura Lisa” e dove talvolta si consumavano performance balorde come quella della Fedora, debordante ragazzona amante della polenta e dei “poeucc” la quale una giorno salì sul tavolo, sollevò le gonne e mostrò immense chiappe gridando: «Venere non era magra».

Sfilano altre antiche osterie come la “Curioni” di Asso, lo “Zoccolo” di Erba. Ecco poi susseguirsi grossi personaggi come il conte Giovanni Verri che “se la faceva” con l’ostessa di Asso, la Regina Margherita, ospire della trattoria “Zoccolo” “Zoccolo” e il Kedivé d’Egitto , sovrano in esilio, che talvolta arrivava al “Falcone”, pure lui a gozzovigliare.

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