di Manuel Guzzon e Carlotta Carangelo

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In questi giorni ricorre l’ottantatreesimo anniversario della morte di Antonio Gramsci, uno dei più grandi pensatori marxisti del ventesimo secolo, le cui opere sono studiate nelle migliori università europee e statunitensi.
La sua vicenda umana, politica e storica è indissolubilmente legata al movimento socialista italiano ed europeo e alla fondazione del partito comunista d’Italia, alla partecipazione alla vita parlamentare degli anni venti fino all’arresto e alla condanna del Tribunale Speciale ad oltre venti anni di detenzione. Nel riconoscere a Gramsci una grandezza intellettuale e politica fuori dal comune, lo stesso Mussolini ebbe a dire: “bisogna impedire a questo cervello di funzionare per almeno vent’anni”.
Poco nota ai più è invece la parentesi brianzola di Antonio Gramsci, egli ha frequentato in più occasioni le nostre zone e in particolare la capanna Mara.

Il 6 aprile 1924 si tengono le elezioni politiche e Gramsci viene eletto deputato al parlamento, in quel periodo si trova in esilio a Vienna e godendo dell’immunità parlamentare rientra in Italia nel mese di maggio. Data la nuova situazione che si era determinata e forti della legittimazione parlamentare, i vertici del partito decidono di tenere una conferenza nazionale di organizzazione per determinare una nuova linea politica, in previsione del V° congresso dell’Internazionale Comunista che si terrà a Mosca di lì a poco.
A questo punto occorre individuare un luogo sicuro dove tenere le riunioni senza il pericolo di incappare nei controlli della polizia già al servizio del nascente governo fascista.
Non sappiamo con quali modalità e per mezzo di chi verrà individuata la capanna Mara (sopra Erba) come il luogo prescelto per la riunione, sappiamo solo che il gestore del rifugio era un simpatizzante e una persona di fiducia che non avrebbe mai tradito.
Il compito di trasferire i convenuti viene affidato ai compagni della federazione comunista comasca, l’appuntamento per tutti è la stazione di Como Lago delle Ferrovie Nord Milano, i partecipanti arrivano alla spicciolata, uno alla volta ad orari convenuti, ad attenderli la giovane Anita Pusterla (condannata in seguito dal Tribunale Speciale a 9 anni e 8 mesi di carcere per attività comunista nel famoso processone insieme a Gramsci ed altri).
Per farsi riconoscere, Anita tiene nelle mani un giornale e senza proferire parola si incammina verso la stazione della funicolare per Brunate seguita da chi, precedentemente istruito, sa bene come comportarsi.
Salito sulla funicolare, raggiunge Brunate dove un’altra persona fidata lo attende. A piedi, attraverso una bella scarpinata, presumibilmente a mezza cresta tra monte Boletto e Bolettone fino alla bocchetta di Lemna, scende alla capanna Mara.
Con questa “tecnica” saliranno fino alla Mara ben 67 persone, tutte con l’intento di partecipare a quella conferenza clandestina e tra i nomi di spicco ricordiamo: Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Alfonso Leonetti, Amadeo Bordiga, Camilla Ravera, Mauro Scoccimarro, Bruno Fortichiari, Ruggero Grieco, Umberto Terracini, Angelo Tasca; questi numeri si evincono da un rapporto segreto di Togliatti al Presidium del Comintern.
Durante quella conferenza, per non dare nell’occhio, i partecipanti si fingono dei semplici impiegati in gita e durante il pranzo cantano inni fascisti e imbastiscono discorsi patriottici, in presenza di altri gitanti.
Le riunioni si tengono nei prati, ben lontano da occhi indiscreti.
Gramsci in una lettera alla moglie parlerà di riunioni tenute in “bellissime vallette bianche di narcisi”.
Dopo la conferenza, la maggior parte dei convenuti partirà per Mosca per partecipare al V° Congresso dell’Internazionale Comunista.

Nel gennaio 1925 la capanna Mara viene scelta nuovamente per una riunione dell’esecutivo del partito. La linea di Gramsci, eletto segretario generale, ha ormai sbaragliato quella settaria di Bordiga e si tratta di decidere la linea politica da tenere contro il fascismo, ormai saldamente al potere. La stessa cosa succederà il 10 luglio del 1925 quando si terrà sempre qui una riunione del Comitato Centrale del partito per esaminare una controffensiva della corrente bordighiana.
Tutte queste riunioni si svolgono in piena clandestinità ed organizzate così bene che le autorità fasciste non si accorgono di nulla. In un primo momento, spinte da qualche sospetto, le autorità di polizia faranno accurate perquisizioni, senza però trovare nulla.
Il prefetto di Como comunicherà, infine, al Ministero dell’Interno che “nella sua provincia non c’è traccia di riunioni comuniste”.
Provata la sicurezza del luogo, il comitato centrale decide di istituire delle scuole di partito per la preparazione politica dei militanti, dal mese di luglio del ‘25 iniziano ad affluire gli iscritti alla scuola, sempre nella massima segretezza e con tutte le precauzioni.

Da un rapporto della Sezione Agitazione e Propaganda della Federazione di Parma del 15 luglio 1925 apprendiamo che gli iscritti alla scuola erano circa 582 in tutta l’Italia e che si provvedeva ad un invio di dispense preparatorie, in seguito, attraverso una selezione dei militanti, decisa la data si partiva per raggiungere la capanna Mara.

Sappiamo che la via utilizzata nel 1924 non è più percorribile, troppi controlli della polizia nella stazione di Como e un percorso a piedi troppo lungo e disagevole attraverso i monti. Secondo alcune testimonianze si preferì utilizzare la linea ferroviaria Erba – Asso, in particolare, le fermate di Ponte Lambro e Caslino, dove i controlli erano molto meno pressanti.
Studiando bene gli orari, infatti, era facile confondersi con i numerosi operai che lavoravano al cotonificio e attraverso il ponte raggiungere il sentiero che dietro l’attuale scuola elementare porta fino alla Mara.
Nel caso di Caslino, fingendosi turisti non era difficile trovare un passaggio verso l’alpe di Caslino e da lì raggiungere la Mara.
Era inoltre evidente che seguire ogni volta la stessa via poteva essere pericoloso e dare troppo nell’occhio, ma non possiamo escludere aiuti da parte di persone fidate residenti in loco.

Per lunghi anni le notizie relative a queste riunioni clandestine alla capanna Mara sono state dimenticate, venivano ricordate per lo più nei racconti dei vecchi militanti comunisti erbesi, che con venerazione e un alone di mistero parlavano della presenza di Gramsci sulle nostre montagne.
Ci siamo sempre chiesti se, oltre ai rapporti politici custoditi all’Istituto Gramsci, non esistessero testimonianze precise dei militanti che parteciparono a quelle riunioni e con qualche difficoltà qualcosa abbiamo trovato.

Interessante la testimonianza di Aldo Magnani di Reggio Emilia, militante comunista e poi partigiano. Racconta il Magnani:
“Io Gramsci l’ho conosciuto quando sono emigrato a Milano nell’aprile del ’25. Durante il ferragosto sono stato scelto per andare alla scuola di partito alla capanna Mara per i dirigenti della Federazione giovanile. E lì a fare scuola c’erano Gramsci, Longo e D’Onofrio, mentre Secchia si occupava dei servizi logistici. Di nome Gramsci lo conoscevo già sin dall’anno precedente, quando era uscita “l’Unità”. Siamo stati lì una settimana. Si dormiva in qualche modo, anche nel fienile, perché eravamo una ventina. C’erano tra gli altri Altiero Spinelli, che rappresentava la Federazione di Roma, Agostino Novella di Genova, Celeste Negarville di Torino, Ferruccio Rigamonti di Milano e Porcari di Parma. Mi ricordo i modi molto cordiali che aveva Gramsci. Ero arrivato là con una certa soggezione, ma poi il contatto con lui era veramente cordiale. Si metteva a sedere in mezzo all’erba con noi, perché le lezioni si facevano fuori dalla capanna.
Quel corso è stato di grande utilità perché tutti questi giovani, provenienti da città diverse, di condizioni sociali diverse, con preparazione politica e culturale diversa, sono riusciti ad avere un’idea comune, e questo è stato un grande rafforzamento della Federazione. E difatti Gramsci era bravo. Poi Longo lo sostituiva quando lui era stanco, perché non aveva una gran forza”.

Questa la testimonianza Ferruccio Rigamonti di Milano, nato nel 1902 e morto nel 1979.
Rilegatore, dirigente, tra il 20 e 27, prima dei giovani socialisti e in seguito dei giovani comunisti.
Attivo nella clandestinità, Rigamonti fu deferito al Tribunale speciale e il 20 febbraio del 1929 venne condannato a tredici anni di reclusione.
Alla lettura della sentenza, il giovane gridò rivolto ai giudici: “Viva il comunismo!”. L’audace affermazione gli costò una condanna supplementare di cinque anni.
La scarcerazione arrivò sette anni più tardi, per amnistia.
Nel corso della Guerra di Liberazione si impegnò nella Resistenza e dopo il 25 aprile 1945 militò nel PCI milanese.

“La scuola ebbe luogo, nella settimana di ferragosto del 1925, alla Capanna Mara, ben nota ai milanesi perché meta di molte gite domenicali. Era situata in una posizione comoda, facilmente raggiungibile e allo stesso tempo abbastanza isolata per essere poco notata dalla polizia che allora già cominciava a perseguitarci. Io e Bruno Monfrini rappresentavamo l’organizzazione di Milano. Tra gli altri partecipanti ricordo bene Celeste Negarville e Bustico Domenico di Torino, Agostino Novella e Bensi Pietro di Genova, Porcari e Cavestri di Parma, Ferrari e Magnani Aldo di Reggio Emilia, Fontana e Peioni di Bologna, Guizzi e Castellani di Firenze, Lorenzo Cuoco di Padova, Mannini di Siena, un compagno di Trieste, un altro di Verona e altri ancora dei quali non ricordo il nome.
C’era anche Altiero Spinelli in rappresentanza dei giovani comunisti romani.
Eravamo più di una ventina, tutti sui vent’anni, alloggiati alla garibaldina; anche perché si viveva già in piena clandestinità.
Mantenevano i collegamenti, facendo la spola tra la Capanna Mara e Milano, Pietro Secchia col nome di battaglia di Bottecchia (perché correva sempre in fretta) e Edoardo D’Onofrio che chiamavamo papà, perché, pur essendo quasi un nostro coetaneo, possedeva già una maturazione e un’esperienza politica molto superiore alla nostra e inoltre aveva nei nostri confronti un atteggiamento quasi paterno.
Le lezioni cominciarono subito. Ci si allontanava un po’ dalla Capanna e su un prato ci si sedeva a semicerchio attorno a Gramsci ed a Longo. Longo, infatti, fungeva da “supplente” e si alternava con Gramsci nell’insegnamento. Che ci fosse tanto bisogno del loro aiuto ci accorgemmo subito, in quanto le lezioni di Gramsci battevano in breccia le convinzioni che fino allora ci eravamo formate. Accidenti che snebbiata! Non avrei mai creduto che in solo otto giorni di scuola avrei dovuto fare piazza pulita di un bagaglio ideologico immagazzinato in quasi un quinquennio! (…)
Come ho già detto le lezioni duravano tutto il giorno e si protrassero per otto giorni consecutivi. Al mattino si faceva colazione tutti assieme con un po’ di pane, polenta e latte sul lungo tavolo nel salone. La Capanna era infatti una capanna montana con una grande sala, due o tre stanzette al piano di sopra e un ampio fienile dove dormivamo tutti noi e anche quelli che venivano per le gite domenicali. Distaccato dal corpo centrale c’era una specie di capanno dove si raccoglieva il fieno nel periodo di raccolta e al quale si accedeva per una scala di quattro o cinque gradini. Era questo uno dei luoghi di riunione: sul primo gradino in alto sedeva Gramsci con a fianco Longo, sui gradini più bassi tutti noi con le nostre matite e un quaderno sul quale prendevamo gli appunti.
La lezione del mattino durava tre ore, tre ore e mezzo, poi si interrompeva per il pasto. Anche a mezzogiorno si mangiava sul grande tavolo, tutti insieme, senza tovaglia; arrivava il piatto con la polenta calda e, dato che eravamo tutti giovani con molto appetito, non aspettavamo certo che venisse fredda. Finita la colazione, si andava fuori per una mezz’ora di ricreazione e li si esprimeva tutta l’umanità di Gramsci. Non era molto più vecchio di noi, anche rispetto al più giovane del gruppo ci superava di appena dieci anni, poteva essere un fratello maggiore, e come tale si comportava. Non si dava arie, scherzava e giocava; ci dava “lezioni” sul lancio dei sassi. Ricordava le scene della sua Sardegna dove i pastori lanciano i sassi alla pecora riottosa che si stacca dal gregge per costringerla a rientrare. Egli lanciava i sassi dal sentiero che conduce alla Capanna Mara con una tale precisione e una tale forza da superare tutti noi che pure eravamo fisicamente molto più robusti di lui. Si facevano anche altri giochi di forza: per esempio, al “braccio di ferro” aveva una mano che pareva una tenaglia, stringeva il polso dell’avversario in modo tale da costringerlo a mollare. Poi si raccontavano le barzellette, noi e lui, e si rideva di gusto. Vivevamo dei momenti veramente lieti e, anche se eravamo tutti giovani, non sentivamo minimamente i disagi dell’isolamento; poi devo dire che avevamo piena coscienza di assistere a delle lezioni che sarebbero state di grande utilità per noi tutti. (…)
La maggior parte dei giovani compagni che parteciparono al corso della Capanna Mara, furono arrestati. Ma anche nelle prigioni fasciste continuò la lezione di Gramsci: sapevamo che era stato arrestato ma tutte le notizie che ci pervenivano su di lui erano di un comportamento esemplare, fiero, di una grande serietà politica e morale…”

La testimonianza più importante ci arriva però da Camilla Ravera, dirigente comunista, segretaria di Gramsci e senatrice a vita.
Questo è il passo riportato nel suo libro di memorie “Diario di trent’anni 1913-1943”.
“Il giorno 11 maggio 1926 si riunì nella Capanna Mara il Comitato centrale del partito per esaminare l’attività svolta in quei primi mesi seguiti al congresso, le prospettive e i nuovi possibili compiti. Era tra l’altro in preparazione il viaggio nell’Unione Sovietica di una delegazione operaia composta di aderenti ai vari partiti e di lavoratori senza partito. Ed era previsto dopo la riunione del CC, un incontro, nella stessa Capanna Mara, coi segretari interregionali, per discutere, oltre i vari problemi del momento, il modo concreto di formazione di quella delegazione, che la segreteria del partito riteneva dovesse comprendere lavoratori di tutte le tendenze e di tutte le regioni d’Italia. (…) Nella Capanna Mara già erano presenti tutti i componenti del CC: la padrona di casa collocava sul grande tavolo, di fronte alle sedie allineate, grosse scodelle di latte fresco. Entrò Tasca, ansante come per una corsa forzata, col viso pallido e alterato: ognuno di noi pensò a qualche incidente grave, al possibile sopraggiungere dei fascisti o della polizia. Tasca si avvicinò a Gramsci e gli disse piano poche parole. Anche Gramsci impallidì e dopo un momento di silenzio disse: E’ successa una disgrazia grave. Il compagno Serrati è morto, mentre stava salendo alla Capanna Mara, con Tasca, Roveda e D’Onofrio. Un malore improvviso lo ha colto; è caduto. E’ mancato subito. Per qualche istante restammo tutti impietriti. Tasca spiegò: Con lui è rimasto D’Onofrio, Roveda è sceso al primo paese per dire della disgrazia accaduta e organizzare il trasporto di Serrati a Milano. Noi, aggiunse Gramsci, dobbiamo immediatamente e a gruppi separati, allontanarci di qua. La polizia dalla morte di Serrati in quel luogo e con quelle persone sarà messa sull’avviso: facilmente salirà alla capanna. Non deve trovare nessuno. Furono ore tristissime per tutti”. (…)

Le parole di Camilla Ravera ci rivelano innanzitutto l’importanza della Capanna Mara come luogo utilizzato per le riunioni clandestine e nel suo libro moltissimi sono i riferimenti alle riunioni e agli incontri segreti in questo rifugio. Per quanto riguarda quest’ ultima riunione, è importante sottolineare il tentativo di tenere segreto in tutti i modi questo posto, nonostante la morte di Serrati, la cui dipartita sarà annunciata con grande enfasi sia da l’Unità che da l’Avanti!. I due giornali duelleranno a distanza attribuendosi la paternità del martire, ma tutti e due converranno sul luogo della morte: Asso, nelle montagne del Triangolo Lariano. Addirittura, l’11 maggio 1926 l’Avanti! dà notizia della morte di Serrati descrivendo il suo viaggio fino alla stazione di Canzo-Asso, in compagnia del giornalista Edoardo d’Onofrio e dove durante un’escursione di piacere sulle montagne circostanti sarebbe morto, colto da improvviso malore.
Per tutti, ancora oggi, il Serrati è morto a Asso. Neppure dopo il 1973, data di uscita del libro di Camilla Ravera, in cui esplicitamente si colloca la morte di Serrati a pochi metri da questo rifugio, ci si è premurati di ristabilire la verità. Il motivo nel ‘26 era palese, sviare le inevitabili indagini della polizia e collocare la morte di Serrati il più lontano possibile dalla capanna Mara.
In seguito alla morte di Serrati e all’ondata di arresti seguita all’attentato di Anteo Zamboni a Bologna contro Mussolini nel novembre 1926, la capanna Mara non sarà più utilizzata per riunioni clandestine. Antonio Gramsci verrà arrestato ai primi di novembre del 1926 e morirà il 27 aprile 1937.

Dopo oltre novant’anni, la sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia Territorio Erbese ha dichiarato la capanna Mara “Luogo della memoria” e ogni anno, nel mese di maggio, organizza un pellegrinaggio laico a cui partecipano numerose persone.

Bibliografia essenziale: Storia del Partito Comunista Italiano “Da Bordiga a Gramsci” vol. 1 di Paolo Spriano Torino 1967; Diario di Trent’anni 1913-1943 di Camilla Ravera Roma 1973; Como dalla dittatura alla libertà di Giuseppe Coppeno Istituto Comasco per la storia del movimento di Liberazione Como 1989

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