Si chiama “Democracy Index” (Indicatore di Democrazia), si tratta di un indice che designa lo stato della democrazia di un paese, frutto di uno studio condotto ogni anno dal settimanale britannico “The Economist” che si fonda su cinque categorie: processo elettorale e pluralismo, libertà civili, funzione del governo, partecipazione politica e cultura politica. Sulla base di tali criteri, il report usa dividere i paesi in quattro categorie: “Democrazie complete”, “Democrazie imperfette”, “Regimi Ibridi” e “Regimi autoritari” Esaminiamole sinteticamente.
Le “democrazie complete” hanno per oggetto quei paesi in cui le libertà fondamentali si fondano su una cultura politica diffusa e ben radicata nel corpo sociale. In questi paesi l’informazione è libera, la magistratura gode di assoluta indipendenza dal potere politico, i governi sono stabili e in grado di svolgere un’efficace azione amministrativa.
Di contro, nelle “democrazie imperfette”, malgrado le elezioni si svolgano liberamente e le libertà fondamentali siano riconosciute, esistono gravi limiti nella libertà d’informazione, una forte instabiltià dei governi, scarsa partecipazione del cittadino alla vita politica e un alto tasso di discriminazione di genere.
Nei paesi classificati come “regimi ibridi” le elezioni non sono libere, l’opposizione ha pochi spazi, la corruzione alligna in tutti i corpi dello Stato senza risparmiare magistratura e informazione.
I “regimi autoritari”, infine, sono paesi in cui manca il pluralismo politico, non ci sono libere elezioni, non c’è spazio per il dissenso, l’informazione è controllata dallo Stato, la magistratura non è indipendente, il governo si compone di uomini scelti direttamente dal dittatore che può destituirli a suo piacimento senza dover rendere conto al Parlamento che, spesso, viene tenuto in vita per dare una parvenza democratica.
Secondo l’indagine del 2021, su una scala da 0 a 10, la Norvegia vanta il risultato migliore (9,75) e l’Afghanistan quello peggiore (0,32). Il nostro paese occupa il 31esimo posto, con un punteggio di 7,68 che gli conferisce il rango di “democrazia imperfetta”.
L’indagine rivela che lo stato di salute delle democrazia nel mondo risulta alquanto deficitario dato che 1/3 della popolazione mondiale continua a vivere sotto un regime autoritario: si tratta di 93 paesi il più grande dei quali risulta, ovviamente, la Cina.
Non è un dato da sottovalutare perché probabilmente è destinato a crescere nei prossimi anni a causa della “tempesta perfetta” che si è abbattuta sui regimi democratici.
Pandemia, conflitto russo-ucraino ed emergenza climatica rischiano, infatti, di trasformarsi in un propellente favorevole alle autocrazie a causa dell’impoverimento crescente delle classi sociali più esposte alla crisi economica che sortirà, inevitabilmente, dalla concomitanza dei tre fattori sopracitati.
Per vivere e germogliare, le democrazie hanno vitale bisogno di quella prosperità che consente al cittadino di guardare positivamente ad una società aperta, inclusiva e solidale.
Di contro, il disagio economico conduce alla paura e alla ostilità verso qualunque forma di solidarietà nei confronti dei soggetti più deboli perché ognuno è portato a ritenersi più debole e, dunque, più bisognoso degli altri.
Se vogliamo restringere il campo e concentrare lo sguardo sul nostro paese, i segnali del declino della nostra democrazia sono molteplici ed inequivocabili. Secondo il report dell’Economist, siamo una democrazia imperfetta ma, verrebbe da dire, siamo una democrazia “largamente” imperfetta.
Vediamone sinteticamente le ragioni che si sommano a quelle menzionate nello studio in questione.
La democrazia, non dimentichiamolo, andrebbe sempre declinata sul piano politico, economico e sociale.
Sul piano politico, le “liste bloccate” precludono al cittadino di designare liberamente i suoi rappresentanti; sul piano economico, non esiste una vera competizione e, quindi, una vera economia di mercato che risulta inficiata dal ruolo debordante dello Stato e da tutti quei fenomeni endemici che fingiamo di non vedere (criminalità organizzata, lavoro irregolare ed evasione fiscale); sul piano sociale, le dilaganti disuguaglianze finiscono per favorire la sfiducia nelle istituzioni e il fascino per il Grande Demiurgo che si propone alle masse come l’Angelo vendicatore delle infinite angherie subite dal cittadino.
Come recita un vecchio proverbio bambara, “il pesce sbaglia se pensa che il pescatore sia venuto per salvarlo” ma, come insegna la Storia, la paura della povertà ha sempre annebbiato la vista dei popoli.
Foto d’apertura: the Economist

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