Leggendo la stampa italiana si può avere la sensazione che l’opinione pubblica sia schierata nettamente a favore dell’Ucraina. In realtà esiste una parte corposa del paese che risulta apertamente schierata con Putin o che vorrebbe le dimissioni di Zelensky al quale si imputa il “suicidio” del popolo ucraino.

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Gli argomenti sono noti: non si risponde alle bombe con le bombe; Putin ha solo reagito ad una provocazione della Nato; Zelensky è un fantoccio della Cia; Putin, “forse”, sta esagerando ma Zelensky se l’è cercata.

Naturalmente, gli argomenti più suggestivi restano quelli di natura economica: le sanzioni alla Russia sono un boomerang; il costo del gas e l’arrivo dei profughi ci ridurranno alla fame; Putin si sta pagando la guerra con il gas venduto all’Europa.

Si tratta di temi contro i quali è sempre difficile aprire un confronto perché risultano inficiati da un approccio palesemente ideologico. Evidentemente, aver celebrato la fine delle ideologie non è servito ad eliminarne gli ultimi sedimenti che stanno riemergendo prepotentemente creando quella confusione nell’opinione pubblica che serve a disarticolare, in chiave “macro”, la coesione dell’Occidente e dell’Unione europea e, in chiave “micro”, quella del governo italiano.

Il dibattito sulla guerra sta facendo emergere una curiosa convergenza tra quell’inveterato anti-americanismo, di chiara matrice vetero-comunista, che abbiamo già conosciuto in altre occasioni, e quel filo-putinismo riconducibile a quella destra xenofoba e sovranista che in questi anni ha fieramente flirtato con lo zar.

Dunque, estremismo di sinistra ed estremismo di destra si stanno saldando all’insegna di un denominatore comune: la lotta contro la globalizzazione e contro le élite finanziarie che avrebbero alimentato le disuguaglianze sociali erodendo, nel contempo, la sovranità degli Stati.

Tanto basta per ridare fiato ad una sorta di populismo anti-capitalista che rappresenta storicamente un ingrediente sia della sinistra comunista che della destra fascista.

Vediamo in dettaglio.

La sinistra comunista, malgrado la propria vocazione “internazionalista”, ha sempre osteggiato la globalizzazione imputandone le crescenti disuguaglianze alle multinazionali e alle ideologie liberiste che hanno decretato il primato dell’economia sulla politica. In quest’ottica, la democrazia rappresentativa sarebbe stata appaltata agli interessi delle grandi lobby che avrebbero usato il mito della “società aperta” per rafforzare i privilegi di pochi.

Lo Stato, pertanto, non rappresenterebbe il “popolo” ma l’establishment e le classi detentrici di ricchezza: in omaggio alla tradizione marxista, lo Stato sarebbe lo strumento di cui si serve la borghesia per imporre i propri interessi. Lo dimostrerebbe la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochi; la libertà dei grandi gruppi di spostare impunemente i propri capitali nei paradisi fiscali; la tracotanza del capitalismo finanziario che ha fagocitato, senza colpo ferire, l’economia reale con la complicità dei parlamenti nazionali.

Non vi paia di avere le traveggole perché è davvero così: secondo questa visione, la guerra in corso rappresenterebbe solo un effetto collaterale delle distorsioni della macchina capitalistica che, citando una celebre espressione di Paul Samuelson, deve produrre “burro o cannoni”: un’economia di guerra, quindi, in chiave surrogatoria dell’economia produttiva.

Come dicevamo, anche all’interno della destra esiste storicamente una componente anti-capitalista che vede nella globalizzazione l’esito nefasto del processo di democratizzazione degli Stati che non hanno saputo preservare la propria identità riducendo, così, la sovranità popolare ad un vuoto simulacro. In quest’ottica, Putin evoca il fascino di due idee-forza, Stato e nazione, che la democrazia capitalistica, dominata dalle oligarchie finanziarie (la vecchia, cara “plutocrazia”), ha mortificato senza mercé.

Secondo questa impostazione, l’impoverimento delle masse sarebbe stato determinato dal mercato globale e dall’avvento dell’Unione Europea che, abbattendo i confini tra gli Stati, avrebbero impedito alle piccole imprese di misurarsi alla pari con le multinazionali.

Ecco perché a molti italiani piace Putin anche se, spesso, si vergognano di ammetterlo. L’uomo forte che difende con orgoglio la sua nazione esercita sempre un fascino antico sulle masse. Si chiama nazionalismo, quello che Einstein definì il “morbillo dell’umanità”.

Un pensiero su “nazionalismo e anti-americanismo: ecco perché a molti italiani piace Putin”
  1. Caro Antonio, mi riconosco parola per parola nella descrizione che hai dato della sinistra comunista e devo ammettere a me stessa di essere ancora saldamente ancorata ad un’ideologia, e temo che vi resterò ancorata finché inizieremo a considerare oscena ogni guerra a prescindere da chi la inizia. Pago l’ avversione all’ipocrisia con l’isolamento sociale ma resto convinta che un morto civile a causa della guerra abbia lo stesso peso in qualsiasi parte del mondo.
    A rileggerti.

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