A febbraio il nemico invisibile mi aveva tenuto fisicamente lontana dalle mie classi, dai miei alunni, il rapporto con loro era continuato, ma solamente dietro lo schermo di un computer e attraverso mail, messaggi, telefonate. A volte è stato faticoso anche per loro rimanere per ore e ore davanti ad un video e dalle loro osservazioni ho capito che, spesso, è proprio mancato loro il rapporto diretto con l’insegnante a cui, magari, raccontano anche i loro dubbi, le loro incertezze, ma anche la gioia per qualche traguardo raggiunto.

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Mentre immagino di scendere i gradini dell’edificio, provo anche a distanza la stessa sensazione che ho provato ogni anno: un altro ciclo scolastico è terminato, iniziano le vacanze, dovrei essere contenta, un po’ di riposo dopo mesi di lavoro e in particolare dovrei esserlo quest’anno in cui ho dovuto “imparare” un altro metodo di insegnamento. Invece provo sempre un senso di malinconia, lo stesso che provo quando qualcosa finisce; lo stesso che provavo, all’inizio delle vacanze estive, da studentessa liceale. Anche allora vedevo le mie compagne di classe contente, gioiose perché finalmente potevano raggiungere i luoghi di vacanza, finalmente potevano dedicarsi ai passatempi preferiti senza l’assillo del compito da eseguire o della lezione da studiare e non capivo la loro gioia. Chissà se a settembre potrò rivedere le mie alunne, le mie classi o se ancora una volta sarò costretta ad entrare in una scuola nuova con alunni sconosciuti e dovrò fare il consueto sforzo iniziale per ricordare i loro nomi, i loro volti.

Gli ultimi giorni sono stati una lotta contro il tempo per inserire voti, programmi, stendere giudizi, compilare relazioni per ogni classe, percorsi di lavoro per l’estate; mentre scorro il registro, gli occhi cadono su un nome, un nome che non potrò più pronunciare, il nome di una ragazza che ci ha lasciato in silenzio in un giorno di fine inverno. L’avevo vista l’ultimo giorno di scuola prima della didattica a distanza, era un sabato, ero uscita dall’aula e mi aveva augurato un buon weekend col solito sorriso sulle labbra, con la sua innata gentilezza, con la voglia di vivere di una diciassettenne. E’ stata l’ultima volta che ho sentito la sua voce. Non ho avuto il coraggio di cancellare il suo nome dal mio registro personale. Sono sicura che se ritornerò in quell’aula e vedrò il suo banco vuoto, dovrò ancora una volta trattenere le lacrime agli occhi.

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