Inutile nasconderlo, “questa” scuola non è più la nostra scuola.

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Non c’è più traccia del ruolo intellettuale del docente il quale prova perfino vergogna a dirsi                                                                                                                         un intellettuale. 

Insultato, vituperato o semplicemente ignorato dalla società, l’insegnante è diventato col tempo un anonimo “travet”, un modesto impiegatuccio al quale si chiede di compilare modelli, di redigere verbali, di partecipare a tediose riunioni mediante le quali la scuola celebra la propria vacuità disquisendo alacremente sulle molteplici forme del nulla.

Adempimenti, procedure, delibere, compongono un universo folle che ha annientato una funzione che vive la propria marginalità prendendo sul serio quello stillicidio di formalismi che esaltano le menti più mediocri avvezze ad occultare, con aria grave e seriosa, la propria desolante pochezza.

I professori hanno smesso da tempo di essere professori: sono poliziotti, educatori, psicologi, amanuensi e compilatori di modelli inutili e frustranti che nessuno leggerà ma di cui ne viene solennemente teorizzata l’importanza attraverso l’angoscia perenne del ricorso dei genitori più ostili il cui amore per i figli è pari all’odio per i prof incapaci di capirli.   

In questa sorta di ineffabile “teatro dell’assurdo” i professori hanno assistito, inerti e  rassegnati, ad una silenziosa mutazione genetica: l’imperante, spietato burocratismo li ha come narcotizzati, disarmati, rendendoli miti e obbedienti a chi li vuole generosi “volontari” pronti ad immolarsi per una società ingrata che li ha condannati ad essere poveri. 

In modo masochistico, più la società civile li ha screditati e più gli insegnanti sono stati oberati di incarichi gratuiti e sottopagati: ma poi, perché lamentarsi, c’è sempre l’obolo del “fondo di istituto” ! 

Inutile raccontarci favole, “questa” scuola non è più la nostra scuola.

Un profluvio, grottesco e nauseabondo, di acronimi che simulano una modernità che esiste solo nella mente subumana dei suoi artefici: DS, DSGA, ATA, RLS, RSPP, LIM, CLIL, DAD, FIS, UDA, SOFIA, PTOF, DA, DSA, BES, NAI, GLO, PDP, PAI, PEI, PCTO e tante altre sigle inflitte ai professori che assistono impotenti alla celebrazione roboante di un’istruzione che ha smesso di istruire. 

Ai colleghi più giovani dovremmo raccontare che c’è stato un tempo in cui i professori non vivevano, come oggi, l’ansia di tante, inutili incombenze. Il loro unico pensiero era preparare le lezioni così come l’unica preoccupazione dei ragazzi era studiare. Non c’erano “percorsi”, “moduli”, “certificazioni”, “strategie”. In quel tempo, accadeva semplicemente che il docente fosse “docens” e lo studente fosse “studens”.  

Oggi non è più così perché la didattica ha lasciato il posto ai “progetti” che segnano la bieca aziendalizzazione di una scuola alla quale non si chiede di formare cittadini ma di confezionare tecnici pronti all’uso dimenticando, o fingendo di dimenticare, che un bravo cittadino saprà essere un bravo tecnico senza che sia mai vero il contrario.

Non bastassero i danni del Covid, ora si aggiunge anche l’acclamatissimo PNRR e tutti gli infiniti espedienti volti a carpirne i denari. 

E, allora, per l’ennesima volta, giù progetti, modelli, riunioni nelle quali tutti siamo gli attori tristi, e talora inconsapevoli, di una scuola che non ha alcun interesse ad interrogarsi sul declino di una paese ormai privo di identità.

Scusate se togliamo il disturbo ma “questa scuola” non è più la nostra scuola. 

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