Premessa. Nel 1944 il nostro illustre concittadino Giusto Zappa dava alle stampe un volumetto dal titolo “Ponte Lambro nella leggenda e nella storia”; fino ad allora nessuno si era avventurato nella ricerca storica sulle origini e le vicende dell’abitato di Ponte e delle sue vicine frazioni, eppure le testimonianze vi erano abbondanti, in particolare nel borgo di Mazzonio che con la sua torre medievale dominava dall’alto di un colle. Nella seconda parte del libro, Zappa si volle cimentare raccontando una vicenda che pur contenendo fatti storici realmente accaduti si perdeva poi nella leggenda e nella fantasia. Il titolo romanzesco era già di per sé intrigante: “Cuori e Spade”. Affascinato dalla vicenda ho pensato che sarebbe stato interessante poterla condividere con tutti coloro che sono appassionati di storia locale. Invitandovi a leggere il testo originale, cercherò di riassumerla liberandola da una prosopopea ormai desueta.

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Nel bel mezzo delle guerre avvenute in Italia tra guelfi e ghibellini nella prima metà del 1200 e dopo sei anni dalla sconfitta subita a Milano e in Lombardia, Federico II di Svevia nipote dell’Imperatore Federico Barbarossa, decise di riprendersi la rivincita. Aiutato dal figlio Enzo, divenuto Re di Sardegna per aver sposato Adelasia, mandarono alcune truppe per spiare i movimenti degli eserciti di Milano.
Così i soldati del capoluogo vollero difendersi dall’attacco di Federico II e decisero di viaggiare per tutta la Lombardia per cercare aiuto dalle città amiche.

Così narra la storia ufficiale e ora entriamo nella leggenda.
Panera da Bruzzano (protagonista del racconto e valoroso combattente rispettato da tutti) aderì per la difesa di Milano e insieme ai suoi due uomini Folco e Lodrisio, viaggiarono per la regione in cerca di aiuto.
Partirono sui primi della Quaresima, raggiunsero presto Brivio e Lecco, salirono a Ballabio, toccarono Taceno, Bellano e Varenna.
Passando da Mandello si abboccarono con Ottone (conte e signore del luogo). Qui i tre cavalieri vennero informati di cambiare tragitto perché alcune spie erano sulle loro orme. Dunque era necessario far perdere ogni traccia e rifugiarsi presso amici fidati. Era l’alba del Giovedì Santo del 1245. I tre uomini scapparono e
raggiunsero un sentiero che da Proserpio scendeva verso il corso del torrente Lambro. Una volta arrivati a Mazzonio videro un castello e Panera da Bruzzano si ricordò che nella rocca ci viveva un suo vecchio compagno di battaglia di nome Odofredo da Ponte: un nobile combattente che in uno scontro con
il Duca di Fiandra strappò lo stendardo nero con L’ aquila imperiale. Panera da Bruzzano ordinò ai suoi uomini di andare ad informarsi se nel castello dimorasse ancora Odofredo. Ad un certo punto una piccola fanciulla e un paggetto corsero incontro al cavaliere da Bruzzano gridando il suo nome. La piccola dama aveva 15 anni circa ed era di una bellezza acerba, quasi primaverile, ma già accennava ad una splendida fioritura. Due trecce biondissime le scendevano sulle spalle e davano singolare risalto ai due occhi azzurri. Bertrada era il suo nome.
Il maschietto, fratello suo e forse anche minore di età, vestiva di una cotta di damasco blu a piccoli fiori chiari. I due fanciulli portarono al cavaliere di Bruzzano i saluti del loro padre Odofredo da Ponte e lo invitarono a seguirli per raggiungere il castello. Odofredo, avuta la notizia da Folco e da Lodrisio che il suo illustre compagno d’arme gli avrebbe fatto una visita inaspettata, ne fu vivamente commosso e fu così onorato e lieto per questo avvenimento che dispose che esso si svolgesse con inconsueta solennità in tutto il suo palazzo.
Era consuetudine che in occasione di eventi eccezionali, il signore del castello o castellano compisse qualche opera o prendesse decisioni magnanime e benevoli in favore dei suoi vassalli. Quella povera gente, tenendo il naso rivolto verso la sommità della torre, ascoltavano il messaggio del loro signore. Si scambiava l’augurio di qualche abbondante dono di grano e del vino per festeggiare al meglio la Pasqua ormai alle porte.
Panera da Bruzzano abbracciò il vecchio amico ed entrò nel palazzo. Il castello di Odofredo da Ponte sorgeva a Mazzonio (come già detto in precedenza) ed era formato da un mastio o torre principale, da un cortile centrale e da alcuni altri fabbricati che costituivano nel loro complesso un rettangolo irregolare.
Il mastio serviva di abitazione al castellano ed ai suoi famigliari. Al pian terreno si trovava la sala di ricevimento, la sala da pranzo e la sala delle armi. Le sale erano intercomunicanti, grandi, alte, con soffitti sostenuti da potenti trabeazioni di legno. Quella da pranzo era adornata ed arricchita da un maestoso camino di pietra. Il piano superiore era riservato alle camere da letto dei padroni. Stanzoni ampi e terribilmente gelidi in inverno. Su, all’ultimo piano abitavano le ancelle che accudivano ai lavori ad alle faccende della dimora. Poche finestre bifore, crociate alla maniera guelfa, lasciavano passare scarsa luce e poca aria. Attorno alla torre sorgevano le case dei servi, i magazzini delle scorte, i granai e le scuderie.
Il castello era circondato da numerose guardie e sentinelle. Vicino alla rocca, più spostata a ovest, era presente una piccola chiesina (che poi venne demolita nel 1785 per lasciar spazio all’attuale Chiesa
Parrocchiale di Ponte Lambro), anzi, un oratorio sostenuto, su un lato, da quattro forti speroni ed affiancata sull’altro lato da una cappellina che all’epoca serviva per ospitare i viandanti del tempo.

Le mura della chiesuola erano disadorne e senza intonaco. Due campanelle facevano capolino da una finestra bifora stagliata in un muretto che s’innalzava dietro l’abside. Giù a valle sopra il Lambro c’era un ponte costruito a ripido dorso di mulo e più in lontananza si vedeva Lezza con le sue piccole e umili case.
Nel bel cortile del castello, la sposa di Odofredo, Lisa e la figlia Bertrada offrirono, come voleva la consuetudine, il pane ed un amabile benvenuto all’ospite Panera da Bruzzano che aveva ai suoi lati Folco e
Lodrisio. Intanto i servi del castellano prepararono un ricco e succulente pranzo.
Odofredo nel frattempo prese due soldati e ordinò loro di andare da ogni capo famiglia del paese e donare un abbondante misura di segale, di frumento, di vino ed un bel terzuolo d’argento (valore di 50 lire). Per
i Pontelambresi dell’epoca fu una grazia venuta dal Cielo, in quanto non capitava tutti giorni.
Purtroppo Panera e i suoi uomini furono tenuti d’occhio da quattro spie mandate da Federico II, che seppero che i 3 cavalieri erano rifugiati nel castello di Mazzonio.
I quattro uomini, fermi sul greto del fiume, si consultavano sul da farsi. Finalmente uno di loro disse che era il caso di fare un colpo al castello approfittando della guardia abbassata di Panera e Odofredo che
furono impegnati a banchettare in festa. Bertrada intanto non partecipò al pranzo perché aveva ricevuto l’ordine dal padre di consegnare a ciascun vassallo il terzuolo d’argento.
Le quattro spie, quando giunsero nei pressi del castello di Odofredo, trovarono gente che vi si recava a mani vuote, gente che tornava alle proprie case con sacchetti gonfi e gente che semplicemente chiacchierava.
Astutamente quelle quattro spie seppero rivolgere caute domande a qualche vassallo di Odofredo per ottenere maggiori informazioni per poter fare un colpo grosso.
Ad un certo punto videro la giovane Bertrada tutta intenta a distribuire i doni elargiti da suo padre.
Un’idea folle si accese nelle menti di quei furfanti: bisognava rapire la fanciulla.
Così le spie fingendosi di essere dei vecchi compagni di battaglia di Odofredo, presero la ragazzina e la rapirono.
I servi andarono ad avvertire immediatamente Lisa e Odofredo che scoppiarono in un lungo pianto. Allora Folco e Lodrisio si presero la responsabilità di risolvere il problema e decisero di partire per salvare Bertrada per riportarla al castello sana e salva. Presi due cavalli i due compagni di Panera seguirono le orme delle spie.
Passarono il ponte del Lambro e attraversarono Lezza fino ad arrivare ad Incino.
Ad un certo punto Folco e Lodrisio scorsero da lontano i quattro uomini che correvano via il più lontano possibile. Una volta raggiunti iniziarono a guerreggiare.
La battaglia fu molto sanguinosa ma i compagni di Panera da Bruzzano ebbero la meglio e riuscirono a riportare la fanciulla al castello. Il giorno della Pasqua di Risurrezione le gaite della rocca di Odofredo
squillarono liete. Squillavano annunciando il sereno ritorno di Bertrada alla vita.
Squillavano gioiose, confondendosi con il tintinnio argentino delle campanelle della piccola chiesuola quasi ansiose di recare un messaggio al mondo.
Squillavano annunciando la Pasqua ed inneggiando a Cristo Risorto!

a cura di Emanuele Braga

Un pensiero su “Il nobile Odofredo da Ponte e la leggenda del castello di Mazzonio”
  1. Grazie Emanuele di questa tua bella e interessante leggenda che avvalora ancora di più quel che resta del castello di Mazzonio. È una leggenda, ma da come tu l’hai raccontata nei particolari, mi ha coinvolto al punto di farmi credere presente nella stessa.

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