Il 5 febbraio 2020 Giorgia Meloni ha presieduto un convegno, il “National Prayer Breakfast”, al quale hanno preso parte Donald Trump, Viktor Orbán e Marion Le Pen (nipote di Marine Le Pen). Nel suo intervento di apertura dei lavori, la Meloni ha sottolineato che “la grande sfida della nostra epoca è la difesa delle identità nazionali e dell’esistenza stessa degli Stati come unico strumento di tutela della sovranità e della libertà dei popoli. Il nostro principale nemico è la deriva mondialista di chi reputa l’identità un male da combattere”.
Queste parole rappresetano la “summa” del pensiero di Giorgia Meloni la quale, nel solco del lepenismo, si propone apertamente come leader di uno schieramento politico simile a “Rassemblement national”.
Esaminiamo in dettaglio i capisaldi fondamentali su cui poggia il pensiero del leader di Fratelli d’Italia: difesa della cristianità e della famiglia tradizionale, esaltazione dell’identità nazionale, accesso ai servizi del Welfare riservato ai cittadini italiani, sicurezza del cittadino, difesa delle imprese italiane, aiuti internazionali ai paesi poveri per limitare l’immigrazione.
Il programma di Giorgia Meloni, pertanto, cerca di contemperare i principi di matrice protezionista della vecchia destra sociale con i principi del libero mercato e del laissez-faire (“libertà d’impresa, riduzione delle tasse e della burocrazia”).
Si tratta di un’operazione culturale coraggiosa, del tutto sperimentale, che nasce dall’esigenza di coniugare le ascendenze culturali della parte più conservatrice del proprio elettorato con le pulsioni di quella destra liberale che non intende rinunciare al parlamentarismo, al mercato e ai vantaggi della globalizzazione.
In verità, tutte le forme di “sincretismo” finora sperimentate dalla politica italiana hanno dovuto, poi, misurarsi con la “praxis” dell’azione di governo da cui sono sortite, inevitabilmente, le crisi più disparate (“krisis”, non a caso, significa scelta): crisi di identità, crisi politiche, crisi di governo.
Non c’è dubbio che l’antieuropeismo, i proclami “law and order” o “Dio, patria, famiglia”, rappresentino temi suggestivi in grado di ricompattare quel blocco sociale che invoca un ordine e una stabilità che l’Europa non ha saputo garantire. In questo senso, non meno suggestivo risulta l’attacco alla tecnocrazia europea che, oltre ad alimentare la recessione a causa delle politiche restrittive, ha lasciato il nostro paese alla mercè di una immigrazione incontrollata.
Ma, come si diceva, una volta al governo, la narrazione populista dell’Europa “cattiva” dovrà fare i conti con i denari del Recovery e con la necessità ineludibile di concordare con i partners europei una politica comune sul gas e sulle materie prime. Le incognite, pertanto, risultano numerose e hanno, tutte, come denominatore comune, le peculiari specificità della destra italiana di cui occorre rammentare il modo singolare con cui fu abilmente “confezionato” il suo avvento al governo.
Come tanti ricorderanno, all’inizio degli anni Novanta le inchieste di Tangentopoli decapitarono il sistema dei partiti. L’unica forza politica che si salvò dall’ecatombe fu il Pds, erede del partito Comunista. Per non lasciare campo libero alla sinistra post-comunista, Silvio Berlusconi si rese protagonista di un capolavoro politico di cui ancora oggi la destra italiana continua ampiamente a beneficiare anche in virtù dello strapotere mediatico del Cavaliere.
Grazie al consenso elettorale di Forza Italia, infatti, Berlusconi è riuscito per 30 anni a far coesistere tre destre strutturalmente incompatibili: una destra localista (Lega), una destra nazionalista (An) e una destra europeista (Forza Italia). Tuttavia, il mutamento dei rapporti di forza che, prevedibilmente, avverrà all’interno di questa coalizione, rappresenta l’incognita più grande che Giorgia Meloni dovrà riuscire a gestire, perfino più grande delle presunte simpatie filo-russe che le vengono imputate, simpatie che oggi è obbligata a confutare dimostrando piena fedeltà alla tradizione atlantica del nostro paese.
Su questo tema non si possono tollerare né incertezze, né ambiguità.

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